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martedì 26 ottobre 2010

La riforma delle pensioni in Francia e non solo

L’esistenza stessa del sistema previdenziale è messo seriamente in discussione, nei Paesi occidentali ed in particolare in Italia, dal rapido declino della natalità.

Per dirla in termini brutali, se le pensioni vengono pagate soltanto con i contributi versati da chi lavora, è inevitabile che in una società in cui il numero degli occupati è sovrastato da quello dei pensionati il meccanismo è destinato ad incepparsi, se non se ne modifica il funzionamento.



Finora in Italia si è tentato di rimediare modificando il sistema da retributivo a contributivo, diminuendo l’importo delle pensioni, incrementando il prelievo per i contributi ed infine innalzando l’età pensionabile, così come sta accadendo in questi giorni in Francia. Il ricorso al prelievo fiscale, invece, è comunemente visto come un provvedimento non risolutivo del problema, da utilizzare soltanto in momenti di particolare emergenza.
In altre parole, secondo le dottrine economiche prevalenti i fondi previdenziali dovrebbero essere concepiti in maniera tale da potersi autoalimentare, senza contributi statali o quasi e, perché ciò sia possibile con le prospettive attuali di durata di vita e di rapporto tra popolazione attiva e potenziali pensionati, è necessario lavorare di più versando maggiori contributi per percepire in un futuro più lontano una pensione più bassa di quelle attualmente erogate.

Come queste premesse possano conciliarsi con una tendenza generale sempre più marcata verso l'impiego temporaneo, a progetto, o addirittura in nero, per giustificare la necessità di ridurre i costi del lavoro, è un interrogativo sul quale evitiamo di soffermarci, almeno per il momento.

Ci chiediamo, però, se questa analisi e le premesse sulle quali essa si basa siano corrette; ci chiediamo se una protesta come quella che sta paralizzando la Francia sia veramente inutile e puerile, perché diretta ad evitare l’inevitabile, oppure se non si fondi invece sulla necessità di richiamare la classe politica di tutti i paesi della CE, non solo della Francia, ad un ripensamento delle priorità che determinano le scelte e gli indirizzi di politica economica degli Stati membri.

Gli Stati europei, ed alcuni di essi in particolare, hanno negato agli Stati membri la gestione diretta di attività economiche, nel timore che ciò potesse avere influenze negative sui meccanismi economici di uno dei Paesi aderenti a scapito degli altri, falsandone la naturale evoluzione ed impedendone il sano sviluppo determinato dalle potenzialità di un sistema liberista regolato dalle sole leggi di mercato. In tal modo, però, l'unica fonte di reddito di uno Stato europeo resta il solo prelievo fiscale, mentre il sistema previdenziale pubblico dovrebbe sostenersi soltanto con i contributi obbligatori versati dai lavoratori.

Il sistema previdenziale pubblico, però, non può essere regolato dalle sole leggi del sistema di mercato, come avviene per una qualsiasi assicurazione.

Quando, ad esempio, ai trattamenti previdenziali si affiancano quelli di tipo assistenziale, per i quali non sono stati versati contributi sufficienti o addirittura alcun contributo da parte di chi li percepisce, per un istituto previdenziale pubblico sarà impensabile una gestione di tipo prettamente privatistico. E’ lo Stato che deve farsi carico di tutelare, garantendone la sopravvivenza, le posizioni pensionistiche di quei soggetti che non hanno potuto provvedere autonomamente all’accantonamento dei contributi minimi previsti per ricevere un trattamento pensionistico ordinario alla fine del rapporto di lavoro. Allo stesso modo è lo Stato che deve farsi garante del pagamento delle pensioni future, per le quali ha preteso dai lavoratori (cittadini e non cittadini) il versamento anticipato obbligatorio dei relativi contributi. A questo proposito segnaliamo un altro problema, sul quale pure evitiamo per il momento di soffermarci, vale a dire: oltre a quella determinata già oggi dalla percezione di somme sotto forma di salario, quanta parte della ricchezza nazionale non verrà reimpiegata sul territorio nazionale, poiché verrà erogata in futuro a soggetti non cittadini italiani residenti all'estero, sotto forma di pensioni maturate per aver versato contributi in Italia?

Il problema è: quale garanzia può offrire uno Stato per garantire il pagamento delle pensioni future?

L’unico strumento attualmente a disposizione per colmare questo divario è dato dal prelievo fiscale.
In passato, almeno fino all’istituzione della moneta unica europea, gli Istituti previdenziali pubblici italiani possedevano anche un patrimonio immobiliare invidiabile che, nonostante fosse spesso gestito in maniera discutibile, costituiva al tempo stesso una fonte di reddito aggiuntiva, data dagli affitti percepiti, ed un capitale potenzialmente mobilizzabile per far fronte al pagamento delle pensioni.
Adesso le pensioni, e quelle del pubblico impiego in particolare, non sono più garantite da alcun bene pubblico, ma soltanto dalla buona volontà dello Stato di pagarle.
Fino a quando?

Link attinenti:
1. Domande e risposte sulla Riforma italiana da Idealista.it
2. L'opinione di Pietro Ichino sulla Riforma italiana
3. Approvata la riforma delle pensioni in Francia (articolo del Sole24ore)
4. L'opinione di Tremonti (in Italia non c'è urgenza per una riforma delle pensioni)
5. Da Svezia e Italia la riforma più efficace sulle pensioni (Articolo dal quotidiano "Il Velino.it)
6. Meccanismo per il calcolo della pensione comprese finestre (aggiornato a luglio 2010)
7. La riforma delle pensioni in Francia: video da TG24 Sky 
8. Come va negli altri Paesi europei?

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