Ovvero: Chi disprezza compra
E' vero che uno Stato, come una famiglia, non può vivere al di sopra delle proprie possibilità indebitandosi perennemente. Ma è anche vero che uno Stato, come fa un capofamiglia con i propri cari, deve proteggere i cittadini dai malintenzionati, dai profittatori, dai lupi e dagli sciacalli che nei soggetti deboli vedono facili prede. Dubitiamo che questo si stia facendo.
Il debito pubblico italiano è effettivamente enorme, ma diffondere voci allarmistiche quanto infondate (lo dimostrano dati obiettivi solitamente sottovalutati o pubblicati in sordina) sulla solvibilità dell'Italia ha l'effetto di costringerci a pagare interessi più alti e quindi a moltiplicare questo stesso debito. A chi giova? Chi ha interesse a farlo? E' semplice: quelli che ci guadagnano, a cominciare proprio da quegli Stati che detengono la maggior parte del nostro debito collocato sul mercato internazionale, tipo la Germania.
La spirale perversa nella quale ci troviamo ora ha avuto inizio nel momento in cui l'allora ministro dell'Economia Tremonti annunciò al mondo che con le misure economiche da lui approntate l'Italia avrebbe ripagato il suo debito in poco tempo (addirittura entro il 2013, se la memoria non ci inganna). A sostegno delle sue affermazioni aggiunse che anche se lo Stato italiano era fortemente indebitato, gli italiani avevano da parte un gruzzolo ben maggiore come risparmio privato. L'intenzione era quella di rassicurare i mercati, in realtà siamo diventati più appetibili per gli speculatori internazionali.
E' stato come se qualcuno avesse annunciato al mondo di avere un tesoro in cassaforte, attirando l'attenzione di tutti i ladri del vicinato.
Il mondo della finanza non usa il grimaldello, però, preferisce comprare titoli pubblici con alti rendimenti e bassi rischi, anche se questi due requisiti di solito non si trovano insieme, perché a bassi rischi normalmente corrispondono altrettanto bassi rendimenti. Per questo è ormai chiaro a tutti che finanzieri senza scrupoli (ma il denaro non ne ha mai, di scrupoli), hanno manipolato dolosamente il mercato con valutazioni esageratamente negative per far salire i rendimenti di titoli che altrimenti avrebbero avuto una quotazione assai inferiore. Mai come in questo periodo ci stiamo accorgendo di come le rilevazioni statistiche siano ben lontane da poter essere considerate una scienza esatta, e di come si possano ottenere risultati del tutto discrezionali anche utilizzando uno strumento teoricamente obiettivo come la matematica: tutto dipende da che cosa si guarda, da che cosa si somma e come lo si fa.
Ormai si parte dal risultato voluto e si ricostruisce a ritroso un calcolo che lo giustifichi.
L'altro effetto di questa situazione, è che mentre da un lato lo Stato italiano draga denaro nelle tasche dei cittadini, innalzando e moltiplicando gli oneri fiscali, dall'altro la pressione internazionale – ma anche quella di speculatori di casa nostra - lo spinge a svendere gli immobili pubblici, vale a dire proprio quel patrimonio "di famiglia" che se fosse opportunamente utilizzato (ed anche opportunamente valutato dal punto di vista contabile, nella stesura del nostro bilancio nazionale), potrebbe rappresentare la più importante, se non l'unica, occasione di riscatto e di autonoma ripresa economica della nostra Nazione.
Abbiamo già visto come l'alienazione di immobili pubblici effettuata in passato per motivi analoghi, abbia sortito l'effetto contrario. Attualmente lo Stato italiano paga affitti da paura per poter continuare ad occupare immobili che nel frattempo sono stati acquistati da privati. L'iniziale effetto benefico per le casse dello Stato, derivante dall'alienazione di questi beni, è stato ormai abbondantemente vanificato dall'ammontare spaventoso dei canoni di locazione corrisposti agli acquirenti dopo la vendita. Possibile che nessuno si sia preoccupato, all'epoca, di vendere soltanto immobili dismessi, che davvero non servivano più? Possiamo permetterci di ripetere il medesimo errore? Perché vendere una potenziale fonte di entrata notevole, anziché studiare il modo per farlo diventare un investimento produttivo? Una delle risposte che ci vengono propinate è che lo Stato non può permettersi, al momento di impiegare capitali per simili investimenti.
Una proposta in proposito vogliamo farla noi, nel nostro piccolo.
Visto che colpire troppo duramente l'evasione fiscale di un certo livello risulta non soltanto difficile, ma addirittura controproducente, perché rischia di allontanare ancora di più gli investimenti dal nostro Paese, perché non studiare una forma particolare di condono fiscale (prima di storcere il naso continuate a leggere…), dando la possibilità di effettuare un ravvedimento operoso "mirato", per così dire. Chi si autodenuncia dovrebbe essere obbligato ad impiegare un ammontare almeno pari alle imposte che ha evaso in un progetto di recupero e di potenziamento di un qualche oggetto di interesse storico, archeologico o ambientale italiano. Come alternativa gli evasori dovrebbero fronteggiare, naturalmente, pene parecchio inasprite (galera compresa...).
I progetti dovrebbero essere approntati, coordinati e controllati da (o insieme a) soggetti pubblici, ma gli evasori "pentiti" potrebbero compartecipare agli utili derivanti dallo sfruttamento economico del bene pubblico oggetto di un progetto specifico.
In questo modo il nostro immenso patrimonio culturale potrebbe diventare finalmente produttivo e sarebbe in grado non soltanto di sostenere se stesso, ma anche di dare all'intera Nazione quella potente spinta iniziale necessaria per far ripartire la nostra economia, senza affamare gli italiani e lasciando con un palmo di naso gli sciacalli che ci girano intorno.
Non varrebbe la pena di provarci, piuttosto che pianificare un piano addirittura pluriennale di dismissione di beni pubblici, come progetta l'attuale Ministro dell'Economia Vittorio Grilli?
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